Lo spazio della ’letteratura’ medioevale potrebbe essere descritto come una piccola marca confinante con due grandi imperi, dai quali tenta incessantemente di rendersi indipendente. Da una parte vi è l’universo ’fisico’ della Voce, dell’oralità, che veicola regole sociali e religiose, riti, tradizioni popolari; dall’altro, non senza interferenze con il primo, si estende quello ’metafisico’ del Sacro, delle realtà spirituali e divine, di cui il nostro mondo non è considerato che ombra, specchio, simbolo. Ciò vale in particolare per i generi narrativi - romanzo e racconto - che incominciano a cercare una loro identità emancipandosi tanto dal fondo magmatico e confuso delle saghe, delle leggende, dei miti, quanto dai modelli cristiani dell’agiografia, dell’exemplum, della scrittura didattica e allegorica.
Già nei più grandi narratori in lingua d’oil del XII secolo - Benoit de Sainte-Maure, Thomas, Marie de France, Chrétien de Troyes - affiora l’orgoglio dello scrittore che tiene a distinguersi da giullari e contastorie e a rivendicare il valore e la «singolarità» della propria opera: lo scrittore incomincia a firmarsi.